La classifica che misura la Sostenibilità Ambientale ci vede scendere di ben quattro posti rispetto all’anno scorso
Nel corso dell’ultimo anno, la posizione dell’Italia nell’Environmental Performance Index (EPI) è scesa dal sedicesimo al ventesimo posto. Alcuni aspetti, tuttavia, sembrano imporci una riflessione più ampia, prima di farsi prendere contro tempo dalla concretezza dei risultati.
L’EPI è una ricerca, pubblicata annualmente, che ha come obiettivo la misurazione del livello di Sostenibilità ambientale dei vari paesi permettendo una comparazione tra di essi. La ricerca si struttura in 11 categorie di emissioni, le quali contengono a sua volta un totale di trentadue KPI (indicatori chiave di performance). Più nel dettaglio, le macro aree di studio riguardano: qualità dell’aria, igiene e acqua potabile, metalli pesanti, gestione dei rifiuti, biodiversità, servizi ecosistemici, pesca, cambiamenti climatici, emissioni inquinanti, agricoltura e risorse idriche.
E’ abbastanza chiaro, dunque, che i risultati del progetto congiunto tra Yale Center, Columbia University e World Economic Forum siano incentrati su un’interpretazione della Sostenibilità piuttosto oggettiva, seppur non del tutto completa. Poiché si è deciso di valutare la Sostenibilità dal punto di vista Environmental (ambiente), si è conseguente messo in angolo i fattori Social e Governance, i quali non appaiono del tutto (direttamente) coperti dalla ricerca.
L’EPI è un termometro che indica quanto i singoli Paesi sono vicini alla messa a terra e all’attuazione delle politiche ambientali prestabilite. Oltre tutto, è utile a funzionari del governo con specifica delega per queste funzioni per tracciare le tendenze e seguire (la speranza è questa) le migliori pratiche internazionali. E’ a tutti gli effetti uno strumento politico a cui guardare per raggiungere gli obiettivi di Sviluppo Sostenibile delle Nazioni Unite.
La regina di questo ranking 2020 è la Danimarca. Vanta una leadership nelle politiche di contenimento delle emissioni di gas serra – con un obiettivo di riduzione delle stesse fino al 70% entro il 2030 – ed un efficiente sistema di gestione dei rifiuti solidi con scarto zero tramite riciclo, compostaggio e inceneritori.
Nel primo blocco formato da 20 Paesi (su un totale di 180 analizzati) l’Europa fa da guida ricoprendo per intero le prime undici posizioni: alla Danimarca seguono in ordine Lussemburgo, Svizzera, Regno Unito, Francia, Austria, Finlandia, Svezia, Norvegia, Germania (al decimo posto) e Olanda.
Tra i Paesi di origine asiatica spunta il Giappone al dodicesimo posto, prima delle più vicine Spagna, Belgio e, ovviamente, Italia. Ha ancora moltissimo da fare e da implementare in questi termini la Cina, insufficientemente posizionata al centoventesimo posto nel ranking totale. Ma questa non può essere certo una novità viste le note problematiche e controversie climatiche e ambientali che caratterizzano il territorio cinese.
Tornando in Europa, l’Est è “padroneggiato” dalla Slovenia, la quale guadagna la prima posizione nella rispettiva area geografica con uno score globale di 72 punti. Inseguono Repubblica Ceca e Grecia.
Nella regione dell’America Latina e dei Caraibi, Brasile e Argentina stazionano rispettivamente al sesto e ottavo posto, con Cile, Colombia e Messico protagonisti, in ordine d’importanza, del podio latino-americano.
La più immediata delle deduzioni, leggendo questi risultati, ha un forte carattere geografico. Non tutti i continenti, infatti, hanno ancora assunto la Sostenibilità come base per costruire il proprio futuro, né tantomeno come bersaglio a cui mirare. La seconda considerazione immediata riguarda i paesi in cima a questa graduatoria. Non a caso, sono coloro che nel tempo sono stati più capaci di varare varare politiche strategiche di lunga data per la protezione della salute pubblica, per la tutela delle risorse naturali e per il disaccoppiamento della crescita economica dalle emissioni di gas serra.
Possono emergere poi altre considerazioni sulle analisi dei singoli paesi e delle singole variabili misurate dall’EPI, che proviamo a mettere a terra con un focus particolare sul nostro Paese.
L’Italia riceve il suo miglior posizionamento in merito alla “Sanitation and Drinking Water”. Ciò sta a dire che, da un punto di vista di accesso ai servizi igienico-sanitari di base e di depurazione delle acque potabili, il nostro Paese non ha moltissimo da invidiare agli altri. Resta una lacuna più grave, per gli italiani, la scarsa capacità di risposta in merito alla variabile “Ecosysitem Services”, ovvero tutti quei presidi che mirano alla tutela degli ecosistemi ambientali. Tra gli elementi più importanti su cui si dovrebbe lavorare ci sono la perdita di alberi, terreni umidi e di pascoli, habitat per la biodiversità e protezione delle coste.
I progressi futuri dovranno concentrarsi anche su nodi altrettanto cruciali quali sfruttamento dei mari per la pesca, rapporto tra CO2 emessa e superficie territoriale ed emissioni di gas serra pro capite. Da difendere con le unghie, infine, il primato che deteniamo sulla qualità dei biomi terrestri.
Insomma, la strada verso la sostenibilità ambientale è lunga e tortuosa. C’è del buono però. E’ una strada ben tracciata e trafficata nel nostro continente e l’Italia non può certo esimersi dal percorrerla.
Più che un punteggio, più che uno score basato su indici e variabili numeriche, dobbiamo guardare alla costruzione e implementazione di strategie, alla definizione di un orientamento e di obiettivi precisi. E laddove siamo già presenti, migliorarci ed aggiornarci. Con un occhio ben attento alle tecnologie innovative e con l’altro sulle buone pratiche internazionali che certo – anche grazie all’EPI – non ci mancano.