In tanti hanno suddiviso le generazioni recenti secondo le abitudini e le ideologie riscontrate su vasta scala nei gruppi sociali nati in determinati periodi circoscritti e limitati, evidenziando così le naturali differenze fra questi, ghettizzando ulteriormente le già divise e sconfinate lande dell’animo umano. Cosa vogliamo dire con la generazione del futuro?
L’uso della rete non è più un fattore discriminante di alcuna appartenenza sociale.
Ma se la prossima generazione fosse ora? Se il prossimo cambiamento fosse già in atto e fosse così radicale da non dover più separare l’umanità in gruppi in base all’età e all’appartenenza sociale?
Ormai noi tutti utilizziamo le tecnologie moderne e questa rete invisibile non ha più la funzione di un livellatore sociale, non è più un segno di gioventù fare acquisti online o utilizzare social media: tutti quanti per necessità vi ricorrono e può persino capitare di trovare persone più avanti negli anni destreggiarsi nei labirinti dell’informazione digitali meglio di alcuni “nativi”.
La storia insegna…
Questa ipotetica generazione culturale già condivide valori che vanno ben oltre a dei semplici usi e costumi che possono superficialmente caratterizzare l’esteriorità dell’individuo.
Non possiamo negare che esistano dei valori fondamentali che sono stati acquisiti già a partire dalla più dura delle lezioni moderne: la seconda guerra mondiale.
Da allora tutti vogliamo credere nella libertà di parola, tutti crediamo che sia possibile un’uguaglianza sociale, tutti crediamo nell’inarrestabile evoluzione del progresso e ci vogliamo credere così tanto che, anche davanti all’evidenza, spesso il fanale della speranza ci abbaglia e ci acceca.
Questi tre fondamenti hanno creato le basi in occidente dalla metà degli anni ‘40 per la reistaurazione di un qualcosa di nuovo non nelle istituzioni, ma nel cuore degli uomini.
Lo spirito della cooperazione per la prima volta, incurante dei risvolti personali, come un fuoco autoalimentato, ha marciato nello spirito del popolo e si è distribuito nelle azioni e nelle emozioni di chi è risorto dalla rovina totale, dalla rovina che sembrava dover essere la rovina definitiva.
Negli anni ‘60 di nuovo, gruppi di giovani riuniti hanno sorpassato la paura per la propria sorte individuale dando vita a un vigoroso canto di protesta contro la guerra in Vietnam: il governo americano ha lentamente capito che non aveva più a che fare col popolo di un tempo: non potevi più convincerli a dare la loro vita per gli interessi di qualcun altro né a combattere un paese indifeso per la smania di conquista ma, soprattutto, che non avrebbero più creduto a qualsiasi cosa. La nostra generazione è anche quella, che non è mai invecchiata: è la generazione che non vuole più fare la guerra, che non vuole più conquistare il potere sull’umanità: è e deve essere la generazione del confronto, non delle lingue tagliate e, nonostante i governanti di tutto il mondo continueranno sempre a cercare di spingerci in quella direzione, noi abbiamo capito una cosa: che “l’esclave qui obeit a choisi se même d’obéir”. C’è sempre un’alternativa più nobile, c’è sempre un bene superiore e noi che abbiamo avuto i mezzi per cercarla sempre; non potremmo mai permettere che ai nostri figli capiti un destino diverso. Perché senza quei mezzi per valutare, per conoscere, non possiamo avere i mezzi per difenderci: i veri predatori, ancor prima di quelli che ti privano di tutto ciò che hai, sono quelli che ti privano della possibilità di sapere perché, se seguiamo colui che urla più forte o colui che ha una retorica più suadente, finché continueremo a farlo, noi non sceglieremo mai niente! Saremo sempre soltanto delle bestie ignoranti che seguono la mano che le ha sfamate finché quella stessa mano le porterà al macello, senza saper discriminare tra le belle promesse che uccidono e le brutte prove che forgiano.
Da grandi poteri…
Abbiamo creato un mezzo dalla portata rivoluzionaria dell’invenzione della scrittura, una rete che può catalogare tutto il sapere umano e distribuire gratuitamente e ovunque ogni genere di informazione, ma sta a noi decidere come vogliamo utilizzarlo: lo stesso coltello con cui tagli il pane potrebbe tagliarti un dito…
Come la biblioteca nel “nome della rosa”, anche questa contiene ogni verità e ogni menzogna, tutte le più serie informazioni e tutte le più basse facezie ma, come ogni biblioteca, non può contenere la vita. E solo dalla vita possiamo ricavare la facoltà di giudicare e di discernere: se fossimo una mera intelligenza artificiale veramente costruita interamente di dati, allora non troveremmo differenza fra ciò che può avvenire in un giorno di sole come gli altri o in una pagina del “signore degli anelli”: sarebbero entrambi semplicemente dei mucchi di dati. Non potremmo farci idee morali con tutti i dati del mondo perché c’è un passaggio fra il sapere e l’agire che trascende ogni numero e ogni calcolo e quel passaggio è la nostra presa di posizione, è la nostra volontà.
Certo, mi rendo conto che quanto ho scritto sembra un banale e inutile messaggio motivazionale lustrato con lo spray per i vetri, ma vi assicuro che non lo è ed ho un solo modo per dimostrarvelo: guardatevi indietro (non importa quando indietro andiate, va bene anche se pensate a cosa avete fatto stamattina) e ditemi se tutto quello che avete fatto era il frutto di un calcolo: ditemi che avete fatto tutto perché andava fatto, perché volevate essere efficienti, o se c’è qualcosa in mezzo a quelle azioni, anche solo un pallido raggio di sole infiltratosi fra le tapparelle chiuse della stanza in cui dormite, che, come quel raggio, voi credevate dovesse infiltrarsi nella vostra vita; lo credevate perché lo sentivate e non vi siete preoccupati di ponderare, non avete pensato ai rischi che avrebbe potuto scatenare, perché la vostra giornata, senza quel misero raggio di sole, non valeva la pena di esser vissuta.
Dunque, avete trovato quel raggio di sole? O siete delle AI che da mattina a sera, ogni giorno, ogni mese, ogni anno, hanno solo eseguito efficientemente i propri compiti?
Non devo neanche augurarmelo, so che lo avete trovato, altrimenti non avreste perso il vostro tempo dietro a questo articolo; quello che intendevo dire è che, sì, può essere bello autodefinirsi e creare una sorta di comunità con chi sentiamo a noi più affini ma, magari, ciò che vi rende affini non sono le vostre scarpe, il vostro slang o il vostro cellulare, magari invece è qualcosa come un’idea che non può essere taciuta, come un’emozione talmente potente da oltrepassare i limiti dei secoli.